Monday, 10 May 2010
Ti parlo di una cosa che mi è venuta in mente, così.
Da piccolo ho speso intere giornate a casa della nonna Ada.
E'forse li che si è formato il carattere rustico, diffidente e curioso, che mi distingue. Fanno parte di me quegli odori,suoni, colori e sapori che ritornano ogni volta che mi ostino a non indossare calzature nei giorni d’estate, pestando terra, erba e sassi, soffermandomi ad immaginare il sapore di una manciata di terra umida.
"Sono questi i ricordi che ho più vivi" -dirò un giorno- "come l'aroma tiepido della buccia dei pomodori caldi dal sole, stivati nelle casse all’ombra nel capannone e l’odore della pianta stessa, del verde gambo dal pelo trasparente e viscoso che una volta reciso ricorda un po’l’aspro dei baccelli.
E poi l’aria che da alla testa, così priva di ossigeno, del mosto che ribolliva negli enormi tini d’ acciaio dal rubinetto gocciolante su quel pavimento di cemento e polvere dove le gocce formavano una macchia di melma violacea e poi il tanfo dell’odore di piscio che ti infestava i polmoni all’aprire l’uscio del gabbione dove i conigli, dagli occhi rossi e dalle mai ferme mandibole, venivano allevati al buio tra strisce di carta di giornale e mangime.
Il recinto del pollaio fatto di vecchie reti da materasso e maglie di filo di ferro tinto di verde corroso dalle stagioni, dove appoggiare le dita e sporcarsi di ruggine che entra nelle narici come polvere quando la si annusa. Il fissare il movimento ondulatorio e perpetuo del collo delle galline e lo sguardo fisso dell’occhio privo del bianco che invece dona espressione ai cani. Il toccare il guscio dell’uovo ancora tiepido e sporco di feci, fatto di quegli stessi sassi ch’io gli tiravo fingendo fosse becchime,.
Il defecare nei campi reso meno imbarazzante dal pulirsi con una foglia di carciofo; già, il carciofo, 'fiore dai petali pungenti', la terra di golena, secca e fangosa e tutte quelle foglie di vite ricoperte dalle gocce azzurre del ramato, il casotto degli attrezzi con i bidoni dell’acqua piovana dai bordi ormai verdi che odoravano di ristagnato, il mio ‘marrone’ e gli stivaletti di gomma che solevo calzare alla rovescia.
Il trattore di ferro verde dalle grandi ruote di gomma nera, ormai logora e sbiadita, schiantata dal gelo e dal sole, l’odore della nafta e dello scarico di quel fumo nero che avvolgeva tutto per ore con il frastuono
del motore, una mitraglia goffa che faceva scappare gli uccelli al margine del campo, nel canneto, aldilà scorreva l’Arno dalle impetuose acque marroni sulle quali vedevo passare le strette e lunghe barche a remi dei canottieri che al tempo geometrico scandito dall’uomo ‘alla rovescia’ si spostavano sul fiume, li seguivo fino a vederli sparire dietro l’argine dell’ansa che sale su fino a Calcinaia dove i pescatori aspettavano pazienti il passaggio delle carpe".
Ma questi sono solo i miei ricordi che resteranno per sempre miei
e questa era solo una storia che dimenticherai.
Luca Fredianelli Inverno 2008
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