Saturday, 23 January 2010

Parafrasi del canto I della cantica dell’ Inferno
della "Divina" Commedia di Dante Alighieri.
A cura, poca, di Luca Fredianelli.



A trentacinque anni
mi resi conto di essere in una buia foresta (del male)
avendo (noi tutti/umanità) smarrito la strada del bene.
E’ talmente penoso descrivere tale bosco,
disabitato, intricato e difficile da attraversare
che al solo ripensarci mi torna la paura,
un’ angoscia tale che s’avvicina a quella della morte.
Ma per rendere noto l’aiuto celeste che, per mia fortuna vi incontrai,
intendo descrivere anche lo spettacolo del male che vidi.
Non so bene riferire come vi entrai,
poiché, nel momento in cui abbandonai la via della verità,
la mia anima era piena di torpore indotto dal peccato.
Quando giunsi ai piedi di un colle,
al termine della selva che mi aveva trafitto il cuore di paura,
guardai in alto e vidi i raggi del sole,
che guida ogni uomo sulla retta via,illuminarne i fianchi.
La paura causata dalla notte angosciosa,
perdurata nella cavità del cuore , allora si acquetò.
E come il naufrago che con respiro affannato esce dal mare e giunge alla riva,
si volta verso le acque pericolose e le osserva con terrore,
così io, che nell’intimo fuggivo ancora dal pericolo appena trascorso,
mi voltai a riguardare la vita peccaminosa dalla quale nessuno si è mai salvato.
Dopo che ebbi concesso un po’ di riposo al corpo stanco
ripresi il cammino lungo il pendio
in modo tale che il piede più saldo era il più basso.
Ed ecco che quasi al principio della salita
una snella e veloce lonza/lince dal pelo maculato
mi stava ferma davanti e mi impediva così tanto il cammino
che più volte per tornare sui miei passi mi voltai.
Era l’alba e il sole sorgeva congiunto con la costellazione dell’ariete
come quando Dio impresse agli astri il primo moto della creazione.
L’ora del mattino e la dolcezza della stagione di primavera
mi davano allora motivo di non disperare
per quella belva dal mantello screziato,
ma non di non aver paura però di un leone
che sembrava venirmi incontro
‘con la testa alta e con rabbiosa fame’
e che sembrava facesse tremare l’aria
[oppure sembrava che l’aria ne avesse paura].
Ed una lupa che nella sua magrezza
sembrava carica di ogni bramosia
e che già aveva afflitto tante persone,
mi sconfortò ed affannò a tal punto col suo aspetto,
che persi la speranza di raggiungere la cima del colle.
E così come l’avaro che aduna ricchezze,
quando arriva il momento che gli fa perdere tutto il guadagnato,
piange e si rattrista,
così la bestia irrequieta, avanzando verso di me poco a poco,mi rese,
respingendomi nella selva senza luce.
Mentre precipitavo verso il fondo
mi apparve davanti una figura che , dato il suo lungo silenzio, mi sembrò muta.
Quando lo vidi gli gridai:
anima di defunto oppure uomo in carne ed ossa!>
Mi rispose:
e i miei genitori erano della Gallia cisalpina ambedue mantovani,
nacqui all’epoca di Giulio Cesare e vissi a Roma
sotto il regno del valente Ottaviano Augusto,
ai tempi del paganesimo prima della venuta di cristo.
Fui poeta e cantai del figlio di Anchise/Enea
che venne da Troia poiché la rocca di Ilio fu incendiata.
Ma tu perché ritorni a così tanto dolore?
Perche non sali il colle che è principio e causa della vera gioia(beatitudine)?>
la sorgente del lungo fiume dell’eloquenza?>gli risposi con umiltà,
mi sia di giovamento presso di te il lungo studio e il grande amore
che mi ha fatto conoscere tutta la tua opera.
Tu sei il mo maestro ed autorità per eccellenza,
sei colui da cui io presi lo stile più elevato che mi ha fatto onore.
Guarda la lupa che mi ha fatto indietreggiare ed aiutami,
famoso saggio,perché tremo di paura.>
rispose vedendomi piangere,
perché questa bestia che ti fa invocare aiuto,
non lascia passare nessuno senza annientarlo,
la sua natura è così malvagia da non renderla mai sazia e,
dopo essersi cibata, ha più fame che prima.
Sono molti i viventi con cui si congiunge,
e saranno ancora di più, finché il segugio
che la farà morire con dolore non verrà.
Costui non si nutrirà di terre/domini o metalli/ricchezze,
ma di sapienza, amore e virtù,
e la sua nascita avverrà fra umili panni/ avrà umili natali.
Sarà la salvezza di quell’Italia orma decaduta,
per la quale morirono di ferite/in battaglia
i guerrieri latini Turno e Camilla e quelli troiani Eurialo e Niso.
Il veltro/segugio darà la caccia alla lupa di città in città,
fino a rimandarla nell’inferno,
da dove l’odio del demonio la sprigionò contro il genere umano.
Quindi io, per il tuo meglio, penso e decido che tu mi segua,
ed io sarò la tua guida e ti condurrò attraverso l’inferno,
dove udirai le urla disperate,
vedrai le anime che scontano le pene fin dalle origini dell’umanità
ognuna delle quali impreca contro[ oppure invoca] la dannazione eterna.
E vedrai gli spiriti del purgatorio, felici di espiare le loro colpe,
perché sperano di andare, quando sarà ora, con le anime beate, nel paradiso;
Nel quale se tu vorrai salire,
avrà il compito (di guidarti) una anima più degna di me,
ti affiderò a lei nel momento in cui mi separerò da te,
infatti, l’imperatore che regna nell’alto dei cieli/Dio,
non permette che io venga nella sua città/paradiso
poiché non fui sottomesso alla sua legge.
Egli domina in tutto l’universo,
ma su nel cielo è la sede del suo regno/là nell’empireo è il suo trono,
felice è colui che egli/Dio sceglie/ elegge (nel paradiso).>
Ed io a lui:
< Poeta, io ti richiedo/ ti prego per quel Dio che non conoscesti,
affinché io superi il traviamento presente
e la sua più grave conseguenza(la dannazione),
che tu mi conduca la dove dicesti
così che io possa vedere la porta del purgatorio
e i dannati dell’inferno che tu descrivi tanto infelici.
Ed allora egli si mise in cammino ed io gli andai dietro.




Note:

Dante afferma nella ‘Monarchia’ che:
L’imperatore "tutto possedendo e più desiderare non possendo"
è superiore ad ogni cupidigia e quindi naturale nemico della lupa.
Questo avvalora dunque l’interpretazione dell’imperatore-veltro.


Comunicazione importante:
E'solo un modo per sforzarmi nell'esercizio della parafrasi,
che svolgo penosamente;
non è attendibile per un'analisi accademica "veritiera" del testo dantesco.

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